"Ma il Papa non ci sta chiedendo di fare una nuova Dc"

Soddu, Cossiga jr e Maninchedda raccolgono la sfida lanciata dal Pontefice a Cagliari per un impegno dei laici cristiani nella vita pubblica

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Anche in Sardegna è attuale l’appello per un nuovo impegno dei «laici cristiani» in politica, per l’emergere di una «nuova generazione», per il prevalere del «rigore morale» e della «competenza». Ma nessuno crede che il Papa abbia auspicato la nascita di una nuova Democrazia cristiana o che, con le sue parole, si sia voluto riferire alla situazione italiana e in particolare a quella sarda. La frase pronunciata da Benedetto XVI nell’omelia di domenica a Cagliari e la successiva sottolineatura, nell’incontro con i giovani, dei temi sociali su cui ha fondato la sua sfida al relativismo, hanno comunque riaperto il dibattito anche nell’isola, in entrambi gli schieramenti politici, su un tema decisivo: il livello culturale ed etico della politica.

La lettura e lo scetticismo di un «giovane turco». L’impegno dei laici cattolici nella vita pubblica? Ricordando la lunga esperienza avviata, nel 1956 a Sassari, con la rivoluzione dei”giovani turchi” guidati da Francesco Cossiga, Pietro Soddu risponde in modo diretto: «Noi l’abbiamo sempre fatto, con la Dc era una cosa che veniva da sé, naturalmente. Oggi si sceglie più su posizioni politiche che per sentimenti religiosi, etici e ideologici, più per opportunismo che per vocazione». Mentre, aggiunge, «c’è effettivamente bisogno di portare la visione cristiana a qualsiasi partito si appartenga». Perché non in sigla ad hoc? Davvero si può escludere l’obiettivo del partito dei cattolici? «Può darsi - spiega l’ex presidente della Regione - che il Papa parli anche in base alla sua esperienza bavarese. In Baviera c’è un partito cattolico che resiste con una maggioranza storica e una sociologia più radicata della nostra. Ma la Dc, come ha commentato anche Giulio Andreotti, nasceva in un contesto politico-storico diverso. A meno che non si prendano le sfide al capitalismo e al consumismo e i temi della bioetica per elaborare una posizione ideologica moderna, cosa che però ancora non c’è. Per fare un partito non bastano le esortazioni né l’individuazione di alcuni temi, benché così alti. Bisognerà vedere se i cattolici richiamati da Benedetto XVI saranno capaci di creare, eventualmente, queste condizioni. La Democrazia cristiana, per intenderci, non era una raccolta di cattolici in quanto tali».

Le sfide future chiamano in causa le nuove generazioni e l’esigenza, posta da Benedetto XVI, di pensare di più alla loro formazione. Pietro Soddu sembra scettico: «E’ un bisogno reale - spiega - ma non mi pare che la gerarchia ecclesiastica sia interessata, la vedo ormai impegnata in altri campi». Era diverso ai suoi tempi? «Sì e no. Perché - dice Soddu - almeno alcuni di noi eravamo visti con qualche riserva dalla gerarchia. Il termine cattocomunisti, affibiato a chi non era allineato con l’ortodossia dominante ed era su posizioni un po’ di sinistra rispetto purtroppo alla media del partito, aveva una forte valenza spregiativa. Eppure, Moro e Dossetti, ai quali facevano riferimento, erano indiscutibilmente esponenti di primo piano del cattolicesimo italiano». L’esigenza formativa, inoltre, si scontra con una difficoltà dell’oggi: «I ragazzi devono poter imparare i fondamentali e chi vuole collaborare per la loro crescita ha il problema delle nuove tecnologie, soprattutto quelle legate a internet, che più che a rafforzare la ricerca della rappresentanza politica provocano quasi una separatezza anche se danno l’illusione di un effettivo dialogo».
Il sottosegretario e il no alla politica politicante. «I giovani - dice Giuseppe Cossiga, sottosegretario sardo alla Difesa nel governo di Silvio Berlusconi - sono interessati alla Politica con la P maiuscola, vanno a votare, manifestano, sono coinvolti bene nella società, si impegnano nel volontariato, che un aspetto nobile della politica. Io penso che la formazione di cui ha fatto riferimento il Papa non sia solo una preparazione all’agire in prima fila nei partiti e nelle istituzione, ma è una formazione civica perché tutti possano cittadini attori». E’ una vera esigenza? «Certamente sì - risponde Cossiga jr - perché questa voglia dei giovani di impegnarsi e di essere coinvolti talvolta non non è supportata di preparazione. Non solo per colpa loro». Un esempio? Anche il sottosegretario parla di internet: «Sono nati molti strumenti per partecipare sul web alla vita politica, al controllo democratico sugli eletti. Ma il tutto avviene in modo banale, con strumento non efficaci: si guarda più al numero delle proposte di legge presentate che al loro contenuto».

Secondo Giuseppe Cossiga, l’appello del Papa è il segnale della voglia della Dc che forse si sente nella Chiesa? «Assolutamente no. La Chiesa - risponde il deputato del Pdl - è cosciente di come la situazione è cambiata nel mondo e in Italia negli ultimi vent’anni. E’ che la Chiesa sta riscoprendo una sia nuova centralità ed è molto attenta al sale e al lievito dei cattolici. Da qui l’invito del Papa a essere cattolici nella vita di tutti i giorni, non solo sui grandi temi fondamentali». Un aspetto che chiama in causa la coerenza, merce sempre più rara. «Certo, perché non serve - afferma Cossiga - la testimonianza di chi fa la Comunione quando c’è la messa del Papa. Quello che si chiede è una carica di servizio».

Il «ribelle» e il discorso eversivo di Benedetto XVI ai giovani. Secondo Paolo Maninchedda, popolare di cultura di centrosinistra e oggi nel partito sardista, «ogni viaggio papale ha sempre due volti: uno politico, fatto di complicati equilibri diplomatici e di potere, e uno spirituale e religioso». Il primo, quello politico, «lo seguo con meno interesse, anche se ho notato che il Papa deve essere poco informato sul dibattito politico sardo: mi è parso la consideri banalmente e soltanto un distretto amministrativo dell’Italia. E’ sintomatico l’uso folklorico del sardo che ha fatto e il silenzio sulla rivendicazione della Chiesa sarda a celebrare in sardo. In Africa, nel 1982, io ho assistito ad una messa interamente celebrata in swahili ma in 47 anni non ho mai potuto assistere ad una messa interamente in sardo. Il Papa non sa che siamo un popolo con legittime ambizioni nazionali. La sua diplomazia è troppo italiana, anzi, romana». Se in politica in Italia il peso della Chiesa cattolica esonda quello naturalmente connesso con la vita ecclesiale, «questo è più dovuto al clero italico, con la prevalenza del suo moralismo, con l’eccessiva insistenza sui temi legati alla sessualità, con la sua pigrizia atavica, che non al Papa». Il quale, ad avviso di Maninchedda, «ha parlato secondo un orizzonte universale. Lui è il capo di una Chiesa perseguitata nel mondo, come ha riconosciuto e denunciato lo stesso Parlamento europeo nel novembre dello scorso anno. Una chiesa che, come quella delle origini, avverte la propria diversità e estraneità rispetto al nuovo impero che governa il mondo, un impero fatto di denaro, armi, commercio e solitudini».

Da qui, dice Maninchedda, le ragioni del discorso ai giovani. «E’ chiaro - spiega - che dica ai giovani cattolici di svegliarsi, di studiare, di impegnarsi, di non omologarsi. E’ stato un discorso eversivo rispetto a chi è potente, sia che lo sia perché è ricco, o perché comanda, o perché è ricco e comanda». Perché «Ratzinger ha ereditato da Woityla una profonda diffidenza verso il capitalismo globale, che si sta trasformando in aperta ostilità». Rinnovare la classe politica italiana è una necessità? «Il Papa che invita a studiare e a faticare per raggiungere la verità - risponde Maninchedda - non può mentire su un’evidenza così macroscopica. Ma mi pare che l’auspicio di una nuova classe dirigente sottenda il desiderio di un rinnovamento di cultura politica. Oggi i partiti sono tutti succubi dei grandi gruppi finanziari e delle oligarchie burocratiche europee. C’è una crisi di pensiero. Ripetono vecchi slogan, rinnovano antiche polemiche, non sanno leggere gli aspetti strategici della realtà».